IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Visti  gli  atti  del proc. di cui sopra a carico di Vona Carmela,
 nata a Petilia Policastro (Catanzaro) il 23  gennaio  1967;  detenuta
 c/o  casa  c.le  di  Torino  "Le  Nuove";  dif. di uff. avv. Vecchio,
 indagata in ordine al reato di cui agli artt. 110, 628, primo e terzo
 comma del c.p., perche', in  concorso  con  persona  allo  stato  non
 identificata,  usava  minaccia per mezzo di un coltello nei confronti
 di Santucci Francesco Antonio dopo avergli sottratto  L.  170.000  al
 fine di assicurarsi il profitto. Con l'aggravante di aver commesso il
 fatto con arma ed in piu' persone riunite. In Torino, il 23 settembre
 1993;
    Rilevato  che  il  p.m.  ha chiesto applicarsi la misura cautelare
 della custodia in carcere e  che  questa,  in  presenza  di  esigenze
 cautelari,  e'  l'unica  applicabile  ex  art.  275, terzo comma, del
 c.p.p.;
    Rilevato che la Vona, come emerge dagli atti, e' affetta  da  Aids
 conclamata e che, pertanto, dovrebbe darsi applicazione all'art. 286-
 bis  del c.p.p. che esclude l'applicabilita' della custodia cautelare
 in carcere;
    Ritenuto, peraltro, che l'art. 286- bis  del  c.p.p.,  secondo  la
 valutazione   di   questo   giudice,  e'  viziato  da  illegittimita'
 costituzionale,  e  che,  pertanto,  deve  sollevarsi  d'ufficio   la
 relativa questione;
                           OSSERVA IN FATTO
    In  data  23  marzo  1993  verso  le ore 18,50 militari del nucleo
 radiomobile CC di Torino giungevano in v. N. Fabrizi ang. c.so  Lecce
 ove   li   attendeva  certo  Santucci  Francesco  Antonio,  il  quale
 denunciava che poco prima, caricata in macchina  una  prostituta,  si
 era  recato, dientro insistenze della donna, nel di lei alloggio. Qui
 la stessa aveva preteso il pagamento anticipato di L. 40.000, indi si
 era appartata col Santucci.
    Quando l'uomo si stava rivestendo, si era accorto  che  gli  erano
 state sottratte dal portafoglio L. 170.000, ad opera di persona che a
 sua  insaputa trovavasi nell'alloggio e che, alle sue rimostranze, lo
 aveva  minacciato  con  un  coltello   affinche'   si   allontanasse,
 assicurandosi cosi' il profitto del reato.
    Indi  il Santucci aveva avvisato i CC che, giunti, si erano recati
 nell'abitazione in questione trovandovi la Vona che confermava  nella
 loro  storicita'  i  fatti  narrati dal denunciante e veniva pertanto
 arrestata per concorso in rapina impropria.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    La rilevanza della questione ai fini del decidere circa lo  status
 libertatis della Vona e' evidente.
    Sussiste   infatti   pacificamente  l'esigenza  cautelare  di  cui
 all'art. 274, lett. c) -  concreto  pericolo  che  la  Vona  commetta
 delitti  della  stesa  specie  di  quello per cui si procede - tenuto
 conto che la donna e' tossicodipendente e pluripregiudicata per furti
 e violazione alla  legge  sugli  stupefacenti,  oltre  ad  avere  una
 pendenza  per  violazione  alla  legge  sugli  stupefacenti e lesioni
 personali nonche' altra pendenza per furto; tenuto altresi' conto che
 vive  facendo  la  prostituta  e  non  ha  fissa  dimora,  salva   la
 possibilita'  di  ricoveri  saltuari presso amici, quali l'uomo nella
 cui casa ultimamente abitava ed in concorso col quale ha  attuato  la
 rapina in danno del Santucci.
    Cio'  gia'  dovrebbe, di per se', far ritenere unica misura idonea
 in  relazione  alla  indicata  esigenza  cautelare  e   proporzionata
 all'entita'  del  fatto  ed  alla  sanzione che si ritiene irrogabile
 quella della custodia cautelare in carcere, tanto piu'  che  la  Vona
 non  puo' piu' beneficiare di sospensioni condizionali della pena. Ma
 vi e' di piu', posto che la stessa legge, all'art. 275, terzo  comma,
 del  c.p.p.,  prevede  appunto  quale  unica  misura  adottabile,  in
 presenza di esigenze cautelari e del reato in argomento, quella della
 custodia in carcere.
    Ne consegue che  il  giudizio  sulla  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  286- bis del c.p.p., che vieta l'applicazione della misura
 della custodia in carcere ai soggetti affetti  da  Aids  o  da  grave
 deficenza immunitaria, cosi' radicalmente mutando la normativa di cui
 agli  artt.  274  e  275  del  c.p.p.  in  riferimento appunto a tali
 soggetti, diventa pregiudiziale per una corretta decisione  circa  la
 misura  cautelare  applicabile  alla  Vona,  persona  affetta da Aids
 conclamata.
    Quanto poi alla fondatezza della questione,  molteplici  sono,  ad
 avviso  di questo giudice, i profili di incostituzionalita' dell'art.
 286- bis del c.p.p.
    Esso  si  pone  innanzitutto  in  contrasto  con  l'art.  2  della
 Costituzione,  che  recita:  "La  Repubblica riconosce e garantisce i
 diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle  formazioni
 sociali  ove  si svolge la sua personalita', e richiede l'adempimento
 dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,  economica   e
 sociale".
    Trattasi  di  un  principio  fondamentale,  di  chiara ispirazione
 giusnaturalistica, per cui  la  persona  umana  viene  ad  avere  una
 considerazione  privilegiata  poiche' i suoi diritti sono inviolabili
 in quanto innati, tanto che la Costituzione si limita a dare atto  di
 una situazione che preesiste ad essa ed a garantirla.
    Orbene,  e'  innegabile che tra i diritti inviolabili dell'uomo vi
 sia quello ad essere tutelati  nei  confronti  di  chi  aggredisca  i
 propri  interessi,  con  le  forme  ed  i  mezzi  che  si addicono in
 relazione al tipo di aggressione;  le  norme  incriminatrici  penali,
 dunque,  non  sono  che  un'esplicazione  di  tale principio, laddove
 prevedono, per determinati fatti ritenuti di rilevanza penale, deter-
 minate  sanzioni  che  implicano  anche la limitazione della liberta'
 personale; allo stesso modo, esplicazione del principio  in  discorso
 e'  l'insieme  delle  norme processuali penali in tema di limitazione
 della liberta' personale, che trae il suo  fondamento  da  una  delle
 norme  costituzionali direttamente derivate dal principio generale di
 cui all'art.  2,  ossia  quella  sull'inviolabilita'  della  liberta'
 personale  posta  dall'art.  13  della Costituzione, che attribuisce,
 infatti, soltanto alla legge la possibilita' di limitazioni e misura,
 persino in ore, gli interventi di carattere eccezionale ed urgente.
    E', allora, di tutta evidenza come  l'art.  286-  bis  del  c.p.p.
 smentisca   l'assunto   di   una  generalizzata  tutela  dei  diritti
 inviolabili dell'uomo sancito invece dall'art. 2 della  Costituzione:
 esso,  invero,  stabilisce il venir meno di tale tutela nei confronti
 di coloro che abbiano visto aggrediti i propri interessi ad opera  di
 persone affette da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria.
    Per   tornare   al  caso  di  specie,  il  diritto  costituzionale
 inviolabile  della  collettivita'  ad  essere   protetta   contro   i
 comportamenti   lesivi  della  Vona,  che  approfitta  della  propria
 attivita' di prostituta per rapinare con un complice  il  malcapitato
 cliente,  viene  posto nel nulla da una norma di legge che, impedendo
 la carcerazione dell'indagata, elimina ogni  efficacia  della  tutela
 penale, efficacia qui inevitabilmente connessa alla segregazione.
    Altro  principio  costituzionale con cui macroscopicamente collide
 l'art. 286- bis del c.p.p. e' quello di uguaglianza di  cui  all'art.
 3,  primo  comma;  non vi e', infatti, alcuna ragione, ne' logica ne'
 scientifica, per riservare ai soggetti affetti da Aids  conclamata  o
 da  grave  deficienza  immunitaria  un trattamento, in punto liberta'
 personale, diverso da quello  previsto  per  i  soggetti  affetti  da
 patologie  altrettanto  gravi,  irreversibili ed ingravescenti: per i
 quali ultimi, com'e' noto, nessuna statuizione di carattere  generale
 esclude la possibilita' della carcerazione, soltanto prevedendosi che
 questa   non   possa  attuarsi  in  caso  di  "condizioni  di  salute
 particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie  in  caso
 di  detenzione" (art. 275, quarto comma, del c.p.p.): il che implica,
 come diretta conseguenza e come la pratica  giudiziaria  insegna,  la
 necessita'  di  un  accertamento medico legale che, esaminato il caso
 nella sua  attualita',  risponda  al  quesito  circa  la  particolare
 gravita'  delle  condizioni di salute dell'indagato od imputato anche
 in relazione all'ambiente carcerario; responso sulla base  del  quale
 il giudice potra' decidere se operi o meno il divieto di cui all'art.
 275, quarto comma, del c.p.p.
    L'avere, invece, stabilito un divieto assoluto di carcerazione per
 i  malati  di  Aids  conclamata  o di grave deficienza immunitaria e'
 evidente  frutto  di  superficiale  approccio  al  problema   tecnico
 giuridico  del  loro  status  libertatis,  dipendente  da sostanziale
 ignoranza  degli  aspetti  medico  scientifici   caratterizzanti   le
 patologie in discorso.
    Appare,  infatti,  chiaro come gli ideatori della normativa qui in
 esame si siano limitati a recepire un ragionamento statistico, in se'
 corretto anche perche' basato  su  rilevazioni  effettuate  su  scala
 mondiale   e   dunque   di   notevole  attendibilita',  assolutamente
 inadeguato, pero', alla trattazione e soluzione di un problema  cosi'
 delicato  e  specifico  quale quello della restrizione della liberta'
 personale in caso di patologia da HIV in atto.
    Invero,  che  il  numero dei linfociti CD4 (T4), rappresentando la
 "risposta" dell'organismo all'infezione da  HIV,  costituisca  indice
 dello  stato  di  diffusione di tale infezione, e' dato reale, ma del
 tutto erroneo e' l'ancorare la valutazione della  maggiore  o  minore
 gravita'  della  patologia  unicamente  a  tale parametro valutativo,
 posto che essenziale, ai fini di detto giudizio, e'  l'individuazione
 del tipo e della localizzazione delle infezioni opportunistiche.
    In  altre  parole,  possono  esservi casi di persone con numero di
 linfociti T4 ben superiore alla soglia statisticamente ritenuta quale
 elemento di discrimine tra la deficienza immunitaria e la  deficienza
 immunitaria  grave,  che  pero',  non  essendo  affette  da infezioni
 opportunistiche   od   essendo    affette    da    lievi    infezioni
 opportunistiche,  non  versano obiettivamente in condizioni di salute
 particolarmente gravi. Cosi' come possono esservi casi di persone con
 un numero di linfociti ben inferiori alla  predetta  soglia  che,  in
 quanto   colpite   da  grave  infezione  opportunistica,  versano  in
 condizioni di salute obiettivamente gravi.
    Molto concretamente, in altra ordinanza di rimessione degli atti a
 codesta Corte per giudizio  di  legittimita'  costituzionale  analogo
 (dell'art.  146,  n. 3, del c.p. nella parte in cui prevede il rinvio
 obbligatorio dell'esecuzione della pena per  i  soggetti  affetti  da
 infezione  da  HIV  nei casi previsti dall'art. 286-bis, primo comma,
 del c.p.p.; ordinanza 22 dicembre 1992 del tribunale di  sorveglianza
 di   Torino  nel  procedimento  relativo  a  Bruschi  Valentino),  il
 presidente estensore cosi' esemplifica: "va da se' che una  polmonite
 interstiziale  da  pneumocystis carinii o da cytomegalovirus, con una
 grave compromissione  della  funzione  respiratoria,  o  una  lesione
 neurologica da toxiplasma gondii, o una encefalite da cytomegalovirus
 o  da  virus erpetico, a parita' di numero di T4, sono ben piu' gravi
 di una esofagite da candida albicans, che offre, tra  l'altro,  buone
 prospettive di remissione".
    Orbene,  per tornare al caso concreto che ci occupa, risulta dagli
 atti che la Vona e' affetta da infezione da HIV allo stadio  di  Aids
 conclamata,  notificata  come  tale  nel  corso  del ricovero subi'to
 presso l'ospedale Amedeo di Savoia di Torino dal 25 febbraio 1990  al
 31  marzo  1990,  occasione  in  cui  venne  riscontrata  "affetta da
 candidosi esogagea".
    Trattasi di infezione opportunistica certamente non tale da  dover
 comportare,    per   definizione,   l'incompatibilita'   col   regime
 carcerario; invero, e' pacifico come essa, cosi' come altre analoghe,
 sia favorita da un insieme di fattori che interagiscono,  consistenti
 nel regime di vita trasandato, nel tipo di alimentazione disordinata,
 nell'igiene  approssimativa  e  scarsa,  nell'uso di stupefacenti che
 spesso e' all'origine di tali comportamenti; tant'e' vero che  queste
 infezioni, in presenza di un regime di vita regolare, di una corretta
 alimentazione e di una normale igiene generalmente regrediscono.
    Ed  infatti,  come  risulta  dalla documentazione acquisita presso
 l'ospedale Amedeo di Savoia, alla Vona, nuovamente ivi ricoverata dal
 13 giugno 1990 al 28 agosto 1990 e dal 19 settembre 1992 al 9 ottobre
 1992, non vennero  piu'  riscontrate  infezioni  opportunistiche;  ed
 invero  ella circolava tranquillamente esercitando il suo mestiere di
 prostituta (con quale pericolo per i clienti,  e  di  conseguenza  la
 collettivita' tutta, e' appena il caso di sottolineare).
    Eppure  per  la Vona - e per tutti gli altri soggetti in situazine
 analoga alla sua - si e' venuta a creare una sostanziale "licenza  di
 delinquere", posto che la diagnosi di Aids conclamata stabilita in un
 dato  momento (per l'indagata, come s'e' visto, nel 1990) costituisce
 di per se' - ed a  prescindere  da  qualsivoglia  accertamento  sulle
 attuali  condizioni  di  salute - un "patentino" per l'esclusione dal
 carcere, benche' in presenza di esigenze cautelari  che  imporrebbero
 la carcerazione.
    Davvero  incomprensibili,  dunque,  se  non ipotizzando operazioni
 politiche aventi bassi scopi demagogici, sono  le  ragioni  dell'aver
 stabilito  per  legge l'equazione "Aids conclamata o grave deficienza
 immunitaria = divieto di  custodia  carceraria";  tanto  piu'  se  si
 considera  che  la stessa commissione nazionale per la lotta all'Aids
 (come  pure  ricordato  nella  citata  ordinanza  del  tribunale   di
 sorveglianza  di  Torino)  ha  esplicitamente  riconosciuto,  facendo
 riferimento all'"estrema dinamicita' e varieta'  di  situazioni"  che
 caratterizzano  il  quadro clinico delle infezioni da HIV, come unica
 seria   strada   percorribile   per   la   soluzione   del   problema
 dell'incompatibilita'  tra  stato detentivo e malattia in esame sia -
 appunto - la valutazione della situazione caso per caso.
    Strada,  questa,  che,  mentre  si  fonda  su  precise  cognizioni
 scientifiche,   non   confligge  coi  dettati  costituzionali  ed  in
 particolare col principio di uguaglianza, che  vuole  che  situazioni
 identiche  (nella  specie,  quanto  a  gravita',  irreversibilita' ed
 ingravescenza delle malattie) siano regolate in maniera uniforme.
    Questo discorso, del resto, porta all'immediata individuazione  di
 un  ulteriore principio costituzionale gravemente leso dall'art. 286-
 bis del c.p.p., vale a dire  quello,  sancito  dall'art.  111,  primo
 comma,   della  Costituzione,  secondo  cui  "tutti  i  provvedimenti
 giurisdizionali devono essere motivati".
    E', infatti, di  tutta  evidenza  come  nel  caso  che  ci  occupa
 l'eventuale  incompatiblita'  tra  lo  stato  detentivo e lo stato di
 malattia della Vona, che questo giudice  avrebbe  dovuto  valutare  e
 dichiarare,  sia  gia'  stata  decretata  dal legislatore, per cui la
 motivazione del provvedimento (in questo caso, di  concessione  degli
 arresti  domiciliari)  e'  soltanto  apparente,  limitandosi l'organo
 giurisdizionale a recepire quanto, a priori, stabilito ex lege.
    Ne',  in  tale  caso,  puo'  sostenersi  cio'  che  codesta  Corte
 dichiaro'  nella  sentenza  n.  313  del  1990  a  proposito del c.d.
 patteggiamento, in ordine al rilievo secondo cui la sentenza prevista
 dall'art. 444 del c.p.p. prescinderebbe  completamente  da  qualsiasi
 valutazione  di merito da parte del giudice e, quindi, dal suo libero
 convincimento,  essendo  arduo  attribuire  valore   di   motivazione
 all'enunciazione  nel  dispositivo  che  vi  e' stata richiesta delle
 parti; in detta sentenza, invero,  la  Corte  ha  potuto  agevolmente
 sottolineare come il giudice, nella pronuncia ex art. 444 del c.p.p.,
 sia  tenuto  a  valutare  la  correttezza  o  meno  della definizione
 giuridica del fatto  che  scaturisca  dalle  risultanze,  nonche'  le
 ragioni   per   cui  le  circostanze,  attenuanti  od  aggravanti,  e
 l'eventuale prevalenza o equivalenza delle une rispetto  alle  altre,
 siano   o   non  ritenute  plausibili  nei  sensi  prospettati  nella
 consensuale richiesta delle parti; dal che consegue  come  l'esigenza
 della  motivazione  non  sia esclusa dalla particolare configurazione
 della sentenza prevista dall'art. 444 del c.p.p., anche se ovviamente
 debba essere ad essa ragguagliata.
    Nulla  di  tutto  cio'  e' possibile dire, invece, con riferimento
 alla motivazione del  provedimento  che  revochi  o  non  imponga  la
 custodia cautelare in carcere per un ammalato di Aids conclamata o di
 grave  deficienza  immunitaria,  posto  che  non si vede quale libero
 convincimento possa esprimere il giudice che deve operare sulla  base
 dell'equazione  "Aids  conclamata  o  grave  deficienza immunitaria =
 divieto di custodia in carcere".
    Il che induce a ritenere violato dalla normativa in esame anche un
 altro fondamentale principio costituzionale, quello di  cui  all'art.
 101,  secondo  comma,  della  Costituzione,  per  cui "i giudici sono
 soggetti soltanto alla legge".
    Invero, nel momento in cui  il  giudice  deve  attenersi,  per  la
 propria  decisione,  non  gia' ai dati derivantigli da un completo ed
 attuale   accertamento   sanitario   sulle   condizioni   di   salute
 dell'indagato-imputato   colpito   da   infezione  da  HIV,  comunque
 liberamente valutabili, ma ad una diagnosi di Aids  conclamata  o  di
 grave deficienza immunitaria posta dai sanitari e divenuta immutabile
 (come  sopra  s'e'  visto),  appare  chiaro  come  detto  giudice sia
 sostanzialmente vincolato da un provvedimento amministrativo, qual e'
 la diagnosi medica, tra l'altro  -  come  detto  -  di  per  se'  non
 significativo  di  un'effettiva  ed attuale gravita' della situazione
 tale da renderla incompatibile con la carcerazione.
    Ne' vale obiettare che in questo caso  il  vincolo  di  soggezione
 soltanto alla legge sarebbe rispettato poiche' l'incompatibilita' con
 la  carcerazione  e'  appunto stabilita ex lege in presenza di quelle
 diagnosi: cosi' ragionando, infatti, si attribuirebbe a tale  vincolo
 un  valore  meramente  formale  che nulla ha a che fare con la regola
 sostanziale che la Costituzione voleva porre.
    Infine, va detto come l'indicato contrasto dell'art. 286- bis  del
 c.p.p.  con  i  quattro  principi  costituzionali  citati  non appaia
 superabile  nemmeno  ricorrendo  al  criterio  del  bilanciamento  di
 interessi  di  pari portata, in ossequio al quale, tra piu' interessi
 aventi medesimi tutela e  rango  nell'ordinamento  (in  questo  caso,
 rango  costituzionale)  si sceglie di farne prevalere uno, poiche' la
 situazione,  complessivamente  considerata,   impone   di   stabilire
 comunque  delle  priorita'  e  quindi di privilegiare la tutela di un
 dato interesse a discapito di un altro pur parimenti rilevante.
    Si vuol fare riferimento, in particolare, ai principi di cui  agli
 artt. 27, terzo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, secondo
 cui  "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso
 di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato" e  "la
 Repubblica  tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
 e  interesse  della  collettivita'":  al  proposito  e'   sufficiente
 ribadire  come l'estrema dinamicita' e varieta' di situazioni cui da'
 luogo l'infezione da  HIV  importino  che  soltanto  un  accertamento
 medico  sulle  attuali  condizioni di salute dell'indagato o imputato
 consenta di affermare se la restrizione carceraria si risolva  in  un
 trattamento  contrario  al  senso  di umanita' o leda il fondamentale
 diritto alla salute; senza contare che, come e' ben noto a tutti  gli
 operatori  del  settore, spesso il detenuto ammalato riceve piu' cure
 ed e' sottoposto a maggiori controlli per opera  dell'amministrazione
 penitenziaria  di  quanto sicuramente accadrebbe in stato di liberta'
 per proprio interessamento.
    Non  puo',  dunque,  ritenersi  che  la  normativa in esame sia in
 contrasto con i principi costituzionali  indicati  al  fine  di  dare
 attuazione  ad  altri  principi  costituzionali  che  si e' scelto di
 tutelare in via privilegiata. Anzi, e' da ritenersi che  pure  questi
 ultimi  siano lesi da una norma che, stabilendo l'errata equazione di
 cui s'e' detto (Aids conclamata  o  grave  deficienza  immunitaria  =
 divieto  di  carcerazione),  da'  loro  un'attuazione sostanzialmente
 distorta.
    Deve, pertanto,  affermarsi  l'assoluta  illegittimita'  dell'art.
 286- bis del c.p.p. con riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 27,
 terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma,
 della Costituzione, come sopra lumeggiato.